Istigazione alla corruzione: la qualifica di pubblico ufficiale è «sostanziale»

Una società a responsabilità limitata del settore edilizio è stata condannata ai sensi del D.Lgs. 231/2001, con sentenza n. 57228/17 della Corte di Cassazione, per il delitto di istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

 

Quanto ai fatti, si sarebbe accertato che il legale rappresentante aveva sollecitato un membro del Consiglio comunale, esponente di una lista civica, a compiere un atto contrario ai propri doveri, sostenendo in Consiglio il parere favorevole all’approvazione di una variante al piano regolatore generale, al fine di avvantaggiare la società edile. Il corrispettivo, poi rifiutato, ammontava a 20.000 Euro.

 

A nulla è valso per l'impresa ricorrente sostenere che il destinatario della somma di denaro non rivestisse la qualità di pubblico ufficiale, trattandosi di un mero referente di una lista civica. La Cassazione ha infatti precisato che la qualifica va riconosciuta in ragione dell’attività in concreto esercitata, non rilevando perciò un effettivo rapporto di dipendenza con l’ente pubblico.

 

La condotta istigativa, ad avviso della Suprema Corte, può pertanto essere integrata anche con riferimento all’adozione di un atto consiliare favorevole agli interessi del privato sollecitatore, alla cui formazione partecipi il componente della lista in questione.