Autoriciclaggio e 231

Il nuovo reato di autoriciclaggio produce riflessi anche in ambito "231” e impone quindi alle società di adeguare i propri modelli organizzativi. In che modo? Se ne è discusso giovedì 16 Aprile a Milano, nel "Laboratorio” organizzato da AODV231.

 

Con l´introduzione dell´autoriciclaggio nel Codice penale (art. 648-ter1), la legge 186/2014 ha modificato l´articolo 25-octies del D. Lgs. 231/2001, includendo la nuova fattispecie tra i reati presupposto della responsabilità degli enti. 

 

Di particolare complessità, come già evidenziato in precedenza, è il relativo risk assessment, in ragione del fatto che il nuovo illecito sembra richiamare fattispecie attualmente "fuori catalogo 231” . Tra i reati-fonte da prendere in esame vi sono così, almeno in astratto, tutti i delitti non colposi che non danno immediatamente origine a responsabilità ex "231”, in particolare quelli tributari: i proventi che, ad esempio, derivano da evasione fiscale o i risparmi di imposta generati da dichiarazioni infedeli – se impiegati in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative in modo da ostacolare l´individuazione della loro provenienza – potrebbero così dare luogo al nuovo reato. Se poi il reimpiego fosse nell´interesse o a vantaggio della società, questa risponderebbe ex 231.

 

«Nel definire il nuovo delitto, comunque frutto di una logica compromissoria, l´obiettivo del legislatore - osserva Francesco Mucciarelli, professore associato di Diritto penale all´Università Bocconi - è stato quello di "sterilizzare” i risvolti economici del reato presupposto, compiuto a monte, e combattere il vantaggio competitivo "illegale” di chi usa il denaro proveniente dal reato». Un reato presupposto che può essere anche non "ex 231”, come appunto la violazione fiscale.

 

«Ciò non significa punire una condotta che è l´automatico proseguimento di un´altra (post-factum). Né si può dire che in questo modo si violi il principio del "ne bis in idem”, perché – si chiede Mucciarelli come si fa a dire che c´è identità di condotte tra chi commette frode fiscale o falso in bilancio e chi poi investe i proventi? Si tratta di due comportamenti diversi.  
Il cuore di tutta la norma è infatti nella sua clausola modale: la presenza dell´ostacolo concreto all´identificazione della provenienza delittuosa. La norma non punisce il mero possesso dei proventi illeciti. Non dovrebbe perciò esservi reato quando si conducono operazioni trasparenti, nelle quali non c´è la concreta volontà di ostacolare: si pensi al caso in cui i proventi illeciti siano utilizzati per pagare gli stipendi ai dipendenti della società»
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È certo, d´altra parte, che se qualcuno, agendo per la società, commette un reato tributario, come la dichiarazione infedele o fraudolenta, la probabilità di autoriciclaggio è molto elevata. 

 

«L´articolo 648-ter 1 del Codice penale è forse la via attraverso cui i reati tributari fanno il loro ingresso in ambito "231” anche senza un ampliamento del relativo catalogo», commenta il sostituto procuratore della Repubblica di Milano, Eugenio Fusco. «È come se alcuni reati esclusi dal perimetro "231”, pensiamo alla falsa fatturazione, rientrassero in un certo senso dall´ingresso secondario. Se consideriamo i ricavi in nero, questi possono automaticamente dare origine all´autoriciclaggio perché per definizione si sottraggono a qualsiasi forma di tracciabilità (chi evade cerca poi di occultare il reimpiego del denaro oggetto dell´evasione, ndr). L´attenzione della società deve concentrarsi sulle operazioni straordinarie, come gli aumenti di capitale, che si prestano a favorire il reimpiego (anche) di questi ricavi»

 

In generale, quale soluzione si prospetta per gli enti? «Il modello deve consentire la tracciabilità di tutti i profili legati alla materia fiscale. Così – se tutto è tracciabile – i capitali che eventualmente provengono da reato fiscale non potranno essere facilmente riutilizzati in modo da occultarne la provenienza. Altrimenti – prosegue Fusco – può accadere che ad esempio l´amministratore commetta autoriciclaggio, creando un fondo nero interno alla società, e così agendo faccia sorgere anche una responsabilità della società ex "231”: a quel punto è difficile dimostrare che il modello fosse idoneo».

 

Nell´analisi della nuova fattispecie – come ha osservato Matteo Caputo, del Consiglio direttivo AODV231 – ci si divide tra chi accusa il prodotto normativo di indeterminatezza e di privilegiare l´edonismo (il riferimento è alla non punibilità delle condotte finalizzate al godimento personale) a scapito dell´impegno nell´attività produttiva, e chi riconosce lo sforzo compiuto dal legislatore per allinearsi a una tendenza politico-criminaletrasversale a diversi Paesi. Tendenza che, nel contesto italiano, ha inserito la punibilità dell´autoriciclaggio, associata alla disciplina della c.d. voluntary disclosure, nella prospettiva di una manovra a tenaglia volta a scoraggiare l´accumulo di disponibilità che negli anni hanno alimentato una imponente evasione fiscale.

 

Tra i diversi interrogativi aperti dal nuovo reato e oggetto di discussione emerge – come sottolineato dal Presidente AODV231, Bruno Giuffrè - il tema del concorso di persone. In concreto, nella maggior parte dei casi, il soggetto che commette il reato-fonte sarà diverso da quello che poi ricicla e quindi non potrà esservi autoriciclaggio, ma riciclaggio (salvo, appunto, il caso del concorso). Ma se è così, i presidi preventivi già previsti per il riciclaggio (reato compreso nel catalogo "231”) dovrebbero essere sufficienti.  

 

L´aggiornamento dei modelli organizzativi è il tema trattato da Antonella Alfonsi, partner dello Studio legale associato Deloitte, e da Ascensionato Raffaello Carnà, dottore commercialista e revisore legale, nonché componente della commissione "Compliance aziendale” del CNDCEC.

 

Occorre identificare le attività sensibili in relazione al nuovo reato: aree come la gestione degli investimenti, le operazioni infragruppo, la copertura del rischio-cambio. La società si deve dotare di procedure fiscali, gestionali o di contabilità che garantiscano una tracciabilità completa e attendibile dei flussi in entrata e uscita, uniformando ai sistemi di controllo già predisposti secondo i decreti 231/2001 e 231/2007 in tema di riciclaggio o reimpiego. 

 

Un aggiornamento quindi non solo formale ma sostanziale, che – mitigando il rischio del reato presupposto, mediante la mappatura delle condotte di re-immissione nel circuito economico dei proventi da reato –  integri nei processi aziendali a rischio anche i reati non "231” e valorizzi i presidi di controllo già esistenti.