Le Sezioni Unite sull’interesse a impugnare le misure cautelari “231”

In caso di revoca della misura interdittiva, ovvero di sua sospensione, per le condotte riparatorie attuate dall’ente, il giudice non può considerare inammissibile l’appello cautelare senza contraddittorio.

Questo il principio contenuto nella sentenza n. 51515, depositata dalle Sezioni Unite il 14 novembre scorso, in cui si afferma come non possa darsi luogo a tale declaratoria anche qualora il vincolo cautelare sia già venuto meno poiché anche in tal caso sussiste l’interesse dell’ente ad una pronuncia nel merito.

Nel caso di specie il Tribunale del riesame di Roma aveva dichiarato inammissibile per carenza di interesse, l’appello proposto contro l’ordinanza che aveva applicato a carico di una S.p.A. la misura del divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione per il periodo di un anno. Il Collegio aveva provveduto in tal senso, senza fissare apposita udienza, in considerazione dell’intervenuta revoca della misura cautelare interdittiva.

L’ente proponeva quindi ricorso per Cassazione. Con ordinanza del 19 gennaio 2018, la Sesta Sezione penale rimetteva il gravame alle Sezioni Unite, osservando come la questione fosse oggetto di un risalente contrasto giurisprudenziale: ad un orientamento che privilegia l’utilizzo della forma procedimentale semplificata, si contrappone infatti l’indirizzo in base al quale la declaratoria di inammissibilità deve essere pronunciata all’esito di udienza partecipata.

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno aderito a questo secondo filone giurisprudenziale sulla base delle seguenti motivazioni.

Anzitutto, hanno osservato gli Ermellini, "nell'ambito della disciplina cautelare prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001, l’attuazione del contraddittorio assume una specifica valenza, rispetto all'analoga fase processuale prevista dal codice di rito per l'adozione di misure cautelari nei confronti delle persone fisiche. Ciò in quanto l'interlocuzione tra l’ente e l’organo giudicante garantisce non solo finalità direttamente difensive ma, come si è visto, consente altresì al giudice di graduare la misura interdittiva adottata, nell’ottica di una inedita dinamica cautelare, permeabile rispetto all'adozione di condotte riparatorie, quale la scelta dell'ente di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società”.

Tale sistema persegue inoltre la finalità di soddisfare le esigenze cautelari bilanciandole con le rilevanti ricadute, sul piano economico-imprenditoriale ed occupazionale, che derivano dall’applicazione anche temporanea delle misure interdittive.

Per tali ragioni, "la richiesta di sospensione della misura che viene avanzata dall'ente non implica affatto la rinunzia, da parte della società, a contestare la fondatezza della domanda cautelare”. La disponibilità ad attuare condotte riparatorie può infatti ben dipendere dall’esigenza di scongiurare l'applicazione di misure interdittive e non implica invece il venir meno dell’interesse ad una pronuncia sulla fondatezza della contestazione.

Tali considerazioni, da un lato conducono ad escludere automatismi tra la revoca della misura interdittiva per fatti sopravvenuti e la carenza di interesse all'impugnazione; dall’altro, evidenziano la necessità che il giudice deliberi previa interlocuzione con la parte istante, attesa la complessità delle valutazioni che vengono in rilievo, dipendenti dallo specifico sistema cautelare delineato dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001.

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