I criteri distintivi tra i reati di concussione e induzione

(Avv. Valerio Silvetti)

 

 

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, così come invocate dalla Sesta Sezione con l´ordinanza di remissione del 23 ottobre 2013, si sono pronunciate sulla vexata quaestio relativa ai criteri discretivi dei reati di concussione (art. 317 c.p.) e di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). 

 

L'ordinanza - già oggetto di precedente nota richiamava l'ormai nota tripartizione giurisprudenziale che distingueva le due fattispecie a seconda della: - intensità della pressione psichica (più blanda nella induzione e più aggressiva nella concussione); - utilizzo esclusivo della violenza morale che si estrinseca nella minaccia (per la costrizione) ovvero altre modalità di azione (per l´induzione); pressione psichica con riserva di autodeterminazione del destinatario (nell´induzione) assenza di marginalità (nella costrizione). 

 

Le SS.UU. hanno tuttavia preferito discostarsi dai predetti pronunciamenti e dirimere la questione individuando criteri più chiari.


Preliminarmente, è stata infatti individuata la similitudine tra le due previsioni codicistiche, rappresentata dalla modalità di realizzazione dei reati in parola: l´abuso della qualità o dei poteri dell´agente pubblico. Il concetto di abuso, spiegano le Sezioni Unite, deve concretarsi nella "strumentalizzazione da parte del soggetto pubblico di una qualità effettivamente sussistente - abuso della sua qualità - o delle attribuzioni ad essa inerenti - abuso dei suoi poteri - per il perseguimento di un fine immediatamente illecito”.

 

Si è così giunti ad affrontare il "vero cuore del problema”, ovvero l´analisi dei due verbi principali: "costringere”, nella norma di cui all´art. 317 c.p. e "indurre”, utilizzato dall´ art. 319-quater c.p.. L´excursus storico ripercorso in sentenza ha ricordato che il verbo "costringere”, già richiamato nel Codice penale toscano e nel Codice Zanardelli, è stato equiparato, quod poenam, dal Codice Rocco alla diversa azione di "indurre” e ciò in forza del principio che "l´indurre ha una gravità non minore del costringere. L´induzione deve per necessità consistere nel trarre taluno in inganno circa l´obbligo, che egli abbia, di dare o promettere, o nel condizionare la prestazione della propria attività ad una indebita remunerazione. In ogni caso, la volontà dell´offeso cede all´uso dei mezzi, che intrinsecamente sono non meno efficaci e odiosi di una costrizione morale". 

 

Entrambe le azioni si concretizzavano, di fatto, in una forma di pressione tale da incidere sul processo volitivo di chi subiva la condotta, con la sola differenza che la "costrizione” presupponeva "una maggiore carica intimidatoria (...) si´ da porre l´interlocutore di fronte ad un aut-aut, da non lasciargli alcun significativo margine di scelta” a dispetto della "più sfumata azione di pressione” propria della "induzione”. 

 

Tale criterio, in un contesto quale quello pre-riforma e connaturato dalla sola previsione di cui all´art. 317 c.p., era perfettamente congeniale e soddisfaceva le esigenze; viceversa, con la riforma apportata dalla legge anti-corruzione si è posta la necessità di individuare "un più affidabile ed oggettivo criterio discretivo tra le due condotte, non trascurando di considerare che quella induttiva postula il concorso necessario del soggetto privato”.

 

Ciò detto, l´angolo di visuale dell´analisi non è più soltanto la forma in cui viene espressa la maggiore o minore pressione, bensì il suo "contenuto sostanziale” ovvero la scelta dinanzi alla quale viene sottoposto il destinatario della condotta, il c.d. "extraneus” e sugli effetti che a quest´ultimo derivano o possono derivare in termini di danno o di vantaggio. 

 

Così procedendo le SS.UU. hanno concluso con il rilevare che in tema di induzione (art. 319-quater c.p.) ci sono due elementi portanti: 

  • l´abuso prevaricatore del pubblico agente; 
  • il fine di indebito vantaggio dell´extraneus.

Nell´induzione, pertanto, il soggetto privato cede alla richiesta del pubblico agente non perché coartato e vittima, ma nell´ottica di trarre un indebito vantaggio per sé, attivando così una dinamica completamente diversa da quella che contraddistingue il rapporto tra concussore e concusso e ponendosi "in una logica negoziale assimilabile a quella corruttiva - sintomatica la collocazione topografica dell´art. 319-quater c.p. in calce ai delitti di corruzione”.

 

Traendo le conclusioni, la Suprema Corte osserva che la fattispecie di cui all´art. 319-quater c.p. sembrerebbe configurarsi, con riferimento al soggetto pubblico, come una "concussione attenuata” e, con riferimento al soggetto privato, come una "corruzione mitigata dall´induzione”. 

 

Ipotesi, come si vedrà meglio infra, molto distanti da quelle proprie della all´art. 317 c.p. che, all´opposto, integra una condotta di violenza o di minaccia.

 

Quest´ultima, come delineato in sentenza, crea il timore di un male contra ius, per scongiurare il quale il destinatario è, di fatto, obbligato ad aderire alla richiesta dell´autore. Il sentimento così come descritto comporta necessariamente la presenza di due soggetti: l´autore e la vittima.

 

Autore e vittima, che in forza di quanto suesposto, vengono meno nell´ipotesi di induzione.

 

Avviandoci alla conclusione, l´iter logico adottato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, muove dalla medesima ratio che ha spinto il Legislatore nazionale a riformare la disciplina in materia di corruzione ovvero l´esigenza di "chiudere ogni possibile spazio d´impunità al privato che, non costretto ma semplicemente indotto da quanto prospettatogli dal pubblico funzionario disonesto, effettui in favore di costui una dazione o una promessa indebita di denaro o di altra utilità”.

 

Come ovvio, conclude la Suprema Corte, le argomentazioni soprariportate devono essere opportunamente valutate caso per caso e l´analisi non può prescindere dalla "puntuale ed approfondita valutazione in fatto, sulla specificità della vicenda concreta, tenendo conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina”. 

 

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