La prescrizione non impedisce la confisca se vi è stata una precedente pronuncia di condanna

È stata depositata il 21 luglio la sentenza 31617/2015 delle Sezioni Unite della Cassazione, in risposta alle due questioni rimesse dalla Sesta Penale con l´ordinanza 12924/2015 (già commentata da AODV231).

 

La prima questione attiene alla possibilità di disporre la confisca in presenza di un reato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. 

 

L´ordinanza riferiva come la giurisprudenza distingua a seconda che si tratti di confisca diretta o per equivalente, «ammettendo, non senza contrasti, la confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto solo nel primo caso». Nel secondo caso, invece, «tende a ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di un reato prescritto, in quanto attribuisce a tale tipo di confisca natura sostanzialmente sanzionatoria».

 

Le Sezioni Unite ribadiscono la natura non punitiva della confisca diretta del profitto e del prezzo del reato (ex art. 240 c.p.) e, all´opposto, quella sanzionatoria della confisca per equivalente. Il fine di quest´ultima è infatti quello di ripristinare la situazione economica che il reo, con la commissione del reato, ha mutato a suo favore: non ha quindi nessuna funzione preventiva.

 

In forza di tale assunto, si legge nella sentenza, «l´intervento della prescrizione per poter consentire il mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio anodina in punto di responsabilità, finendo in tal modo per "confermare” la preesistente (e necessaria) pronuncia di condanna».

 

In altri termini, la confisca perdurerà anche nel caso di intervenuta prescrizione, purché essa sia successiva ad una sentenza di condanna che abbia affrontato e riconosciuto la sussistenza del reato e le responsabilità del condannato.

 

Il principio di diritto che ne deriva è conforme a tale assetto e prevede che «il giudice, nel dichiarare l´estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell´art. 240, secondo comma, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell´art. 322-ter cod. pen., la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell´imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato».

 

La seconda questione rimessa alle Sezioni Unite riguarda le modalità da osservare in caso di confisca di somme di denaro depositate sul conto corrente: se cioè debba disporsi l´ablazione per equivalente ovvero quella diretta. E se, in quest´ultimo caso, si debba ricercare il nesso pertinenziale tra denaro e reato.

 

Qui l´ordinanza ricordava un orientamento giurisprudenziale, peraltro già avallato dalle Sezioni Unite, secondo cui la confisca di denaro su un conto corrente bancario - che si tratti del profitto o del prezzo del reato - integra in ogni caso una confisca diretta. Inoltre, la possibilità di vincolare il denaro non è subordinata alla verifica che lo stesso provenga da delitto e che sia confluito nell´effettiva disponibilità dell´indagato. 

 

Sulla scorta di tale orientamento, le Sezioni Unite affermano dunque che «qualora il prezzo o il profitto derivante al reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato».