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Forum C5 Anticorruzione

2° FORUM C5
ANTICORRUZIONE


Milano, 11-12 novembre 2014

 

Pubblichiamo qui di seguito la trascrizione dell´intervento del presidente dell´AODV231, Avv. Bruno Giuffré.



Buongiorno.

 

Oggi non vorrei tanto aggiungere la mia ricetta sul Modello 231 e sull´Organismo di Vigilanza a quelle proposte dagli autorevoli relatori che mi hanno preceduto. Vorrei piuttosto condividere con voi alcune riflessioni, che derivano dall´esperienza collettiva che da 7 anni portiamo avanti in seno all´AODV231, che ho l´onore di presiedere.

 

Come molti sanno (del resto vedo in sala diversi soci), la AODV231 vanta ormai una base associativa significativa di circa 600 iscritti, che operano presso centinaia, se non migliaia di enti collettivi (in massima parte società). Riteniamo la nostra esperienza particolarmente significativa, da un lato perché è espressione di un numero così ampio di operatori del settore, e dall´altro perché riflette quella multidisciplinarietà che, a mio avviso, dovrebbe sempre caratterizzare il modo in cui si affrontano le tematiche di compliance 231.

 

L´evoluzione e il percorso applicativo del Decreto 231 sono stati molto rilevanti per le imprese italiane, anche se tutt´altro che lineari.

 

Il decreto nasce come legge anticorruzione per prevenire e sanzionare i reati commessi nell´interesse dell´ente e introduce il modello organizzativo come strumento per radicare (e giustificare dogmaticamente) la colpa di organizzazione, da cui viene fatta discendere la responsabilità dell´ente, evitando così di ricorrere a una forma di responsabilità oggettiva.

 

Poi, sull´impianto esile costituito dalle poche previsioni del decreto relativamente al Modello e all´Organismo di Vigilanza, si è innestata una crescita ipertrofica e disordinata del catalogo dei reati-presupposto.

 

Si è verificato così un progressivo affievolimento della connessione tra reati da prevenire e contenuto del Modello così come delineato dal legislatore, con la conseguente necessità di ricorrere ad altre fonti per determinarne i contenuti. L´ampliamento del catalogo dei reati ha posto questioni applicative di non poco conto ai fini della prevenzione di fattispecie di reato complesse e anche di reati "mezzo" (ma sarebbe meglio dire passepartout) come i reati associativi, che, secondo alcuni, hanno finito per far rientrare nel perimetro del Decreto 231 anche reati "fine" che nel catalogo 231 non sono ricompresi.

 

Ancora, l´inserimento dei reati colposi ha implicato una vera e propria torsione logica, a causa della difficoltà di configurare l´interesse o il vantaggio dell´ente rispetto ad un reato che nemmeno il suo autore ha voluto commettere.

 

All´ampliamento del perimetro dei reati-presupposto ha corrisposto l´aumento dell´importanza della compliance 231, e il Modello e l´ODV hanno assunto una centralità nell´organizzazione aziendale che certamente era non prevedibile in origine.

 

Anche se non esiste una previsione generale di obbligatorietà del Modello, è un fatto che esso è oggi sostanzialmente inevitabile, se non altro per le responsabilità che deriverebbero dalla sua mancata adozione in capo agli organi sociali.

 

Lo stesso raggio di azione e le connesse responsabilità dell´ODV sono cresciute non solo come conseguenza diretta dell´ampliamento del catalogo dei reati-presupposto, ma anche per effetto di interventi legislativi alquanto spuri rispetto all´impianto originale del decreto. Si pensi alla possibile attribuzione agli organi societari di controllo della funzione di organismo di vigilanza, alla attribuzione all´ODV di una rilevanza pubblicistica esterna, sia pur limitata, in base alla normativa antiriciclaggio, nonché, per gli enti privati a controllo pubblico, alle possibili sovrapposizioni tra Piano di Prevenzione della Corruzione e Modello 231 e tra Responsabile dell´Attuazione del Piano Anticorruzione e ODV, secondo quanto previsto dal Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) approvato nel settembre 2013.

 

Questa evoluzione, così travagliata, lungi dal favorirne il superamento, ha alimentato un generale sentimento negativo di scetticismo negli operatori e soprattutto nelle imprese.

 

Anche oggi, dopo tanti anni, la compliance 231 viene vista tutt´al più come un male necessario - considerati i rischi finanziari, operativi e reputazionali che il mancato adeguamento al decreto comporta - ma continua a essere diffuso il sentimento che essa generi costi eccessivi e si sovrapponga, o addirittura interferisca, con gli altri controlli aziendali (anche perché la cd. compliance integrata è ancora un´utopia in molte imprese italiane, anche di grandi dimensioni). Soprattutto, è diffusa l´opinione secondo cui vi sono, in fin dei conti, poche garanzie sulla effettiva "tenuta” dell´efficacia esimente del Modello dalla responsabilità ex Decreto, e che quindi gli sforzi e gli investimenti sostenuti per dotarsene sono inutili o comunque sproporzionati rispetto all´incertezza dei risultati.

 

Soprattutto, permane, insuperato, quello che ho in altre occasioni chiamato il "paradosso 231": l´assenza o, quanto meno, l´insufficienza di parametri oggettivi per la valutazione dell´idoneità del Modello ex ante (con limitate eccezioni: v. art. 7 Decreto e art. 30, 5° c., Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro) induce una deriva per la quale, in base ad un giudizio inevitabilmente ex post, la commissione del reato sarà dimostrazione della responsabilità dell´ente, talvolta senza che vi sia neppure una verifica se il difetto del Modello si ponga in rapporto di causa-effetto con il reato ipotizzato.

 

Pur in questo quadro di estrema problematicità, la pratica ha in questi anni efficacemente sopperito all´assenza di parametri di valutazione dell´idoneità del Modello (che altri sistemi invece conoscono: si pensi alle Federal Sentencing Guidelines negli USA, o al Bribery Act Adequate Procedures nel Regno Unito), sicché è oggi possibile individuare best practise (in parte cristallizzate in linee-guida) su tutti i temi principali della compliance 231 quali, per citare solo alcuni esempi: 

  • la valutazione dei rischi aziendali
  • la strutturazione del Modello
  • i requisiti e la composizione dell´ODV
  • l´attività dell´ODV con particolare riferimento alle verifiche
  • il budget dell´ODV
  • i rapporti con organi sociali e funzioni aziendali
  • i flussi informativi con l´ODV
  • il sistema sanzionatorio
  • i gruppi (anche multinazionali).

Oggi è anzi possibile dire che le best practise costituiscono un riferimento imprescindibile per formulare il giudizio di idoneità dei Modelli organizzativi.

 

A costo di essere banale, tengo ad aggiungere un´ulteriore considerazione.

 

Al di là delle poche decine (forse) di imprese incappate in indagini o processi 231, alcune delle quali hanno potuto far valere con successo l´esimente del Modello, vi sono ormai migliaia di imprese che probabilmente non avranno mai bisogno di quello scudo poiché i loro esponenti non commetteranno reati, ma che, grazie al Modello e anche – bisogna riconoscerlo – grazie al lavoro degli organismi di vigilanza, hanno potuto far compiere alle loro organizzazioni progressi significativi lungo due direttrici principali: lo sviluppo di tecniche di controllo e, in generale, della cultura del rispetto della legge e, in termini ancora più generali, il rafforzamento e la razionalizzazione dei processi aziendali e, quindi, del governo dell´impresa.

 

E´ questo, ritengo, il più grande successo che si deve registrare sul fronte dell´applicazione del Decreto 231 a 13 anni dall´entrata in vigore, al di là delle finalità specifiche per cui è stato introdotto e che ho sopra brevemente ricordato, e del permanente scetticismo di tanti operatori.

 

E ora?

 

Come si dice da molte parti e da alcuni anni, il Decreto 231 necessita di un intervento di manutenzione e revisione piuttosto profondo (soprattutto se consideriamo che l´unico intervento fino ad ora, a parte l´ampliamento del catalogo dei reati, è stato l´inserimento del comma 4bis nell´art. 6, che, come molti ritengono, ha creato ulteriori problemi invece di risolvere quelli esistenti).

 

La nostra Associazione si è così decisa a mettersi al lavoro su un´ipotesi di riforma del Decreto 231 che, nelle intenzioni, dovrebbe toccare i seguenti punti principali:  

  • attenuazione dell´onere della prova, a carico dell´ente, dell´elusione fraudolenta del Modello da parte degli apicali;
  • precisazione circa la funzione e la posizione dell´ODV all´interno dell´organizzazione aziendale;
  • precisazione sui requisiti dell´ODV e del fatto che, ove costituito in forma plurisoggettiva, esso può disporre come collegio di alcuni requisiti (es. professionalità e continuità d´azione), senza che sia necessario che tutti i componenti ne dispongano in massimo grado;
  • ampliamento dei casi di presunzione di idoneità dei modelli (es. modelli conformi a linee-guida approvate);
  • revisione del ruolo degli organi di controllo nel contesto della compliance 231;
  • disciplina dei gruppi; 
  • richiamo a modelli organizzativi adottati a fini diversi dalla compliance 231 e riconoscimento della loro efficacia come esimente se conformi ai requisiti stabiliti dal Decreto 231, come integrato dalle best practise di settore;
  • eliminazione dal campo di applicazione del Decreto 231 degli enti di piccole dimensioni o fissazione di soglie dimensionali;
  • reati colposi: limitazione dell´imputabilità all´ente di quelli commessi con colpa grave;
  • valorizzazione del self reporting;
  • previsione espressa di un sistema sanzionatorio applicabile ai destinatari del Modello 231 che non siano dipendenti dell´ente. 

Una volta messa a punto, la proposta sarà aperta alla consultazione tra gli associati e portata ad un confronto, il più vasto possibile, con il mondo professionale, quello accademico e con le istituzioni, con l´auspicio che questi interlocutori la considerino per quello che è, cioè il tentativo, serio e indipendente, dell´AODV231 di mettere a frutto l´esperienza di questi anni dando un contributo fattivo al progresso della materia.

 

Grazie.